PAP KHOUMA: EVOLUZIONE ESISTENTIVA E LETTERIA

PAP KHOUMA: EVOLUZIONE ESISTENTIVA E LETTERARIA
Vivere tra due mondi: Africa e Italia a confronto

 

A quindici anni di distanza dal suo primo libro, Pap Khouma ne scrive un altro dal titolo Nonno Dio e gli spiriti danzanti[1], un vero e proprio romanzo in cui, al carattere autobiografico caratterizzante il romanzo Io, venditore di elefanti[2], subentra un racconto di fantasia (questa volta scritto in terza persona), mediante il quale l’autore tenta comunque di far conoscere al lettore la propria realtà di appartenenza: l’Africa.

Un giovane uomo torna nella sua Africa a Taagh dopo sette anni di assenza. Ritrova una moglie dimenticata, un figlio mai conosciuto, una madre amatissima, i ricordi dell'infanzia. Ma anche un mondo di cui non conosce più i meccanismi. Ormai, né il senso religioso né la dimensione magica gli appartengono più, così come non si sente a suo agio negli abiti tradizionali. Come se tutto ciò non bastasse, gli viene mossa un'accusa gravissima che spinge l'autore a pizzicare con maestria le corde del giallo. Sullo sfondo, le vicende politiche di un Paese africano sempre sull'orlo della guerra e dell'ennesima ribellione e accanto al protagonista un gruppo di giovani amici, anch'essi disorientati, l'anima divisa tra la necessità di rimanere mostrandosi forti, la possibilità di guadagnare qualcosa arruolandosi tra i ribelli e il desiderio di mollare tutto e andarsene via. Le donne, invece, madri, mogli, sorelle, sono animate da una grande energia che traggono dalla magia, dalla fede religiosa e dalla consapevolezza del loro antico potere femminino che dà loro una forza tale da spingerle a mettere in atto una insolita ribellione anti-maschio. Un'Africa - reale o immaginata - raccontata dall'autore con i toni appassionati di un griot capace di farci partecipare con vivido realismo sia alla dolce atmosfera di una spiaggia al tramonto, sia al caos di un incrocio nell'ora di punta.

Carattere basilare della cultura africana sembra essere la fede in Dio, chiamato familiarmente nonno Dio, fede che, associata ad una dimensione magica ovvero quella dei rap (spiriti), costituisce il repertorio dal quale attingere per spiegare quei fenomeni altrimenti indecifrabili. Secondo tale concezione la malattia mentale, a cui si fa riferimento nel racconto, deriverebbe infatti dagli spiriti che: “Seguono gli umani come ombre perché hanno bisogno di loro e, a volte, si arrabbiano quando vengono trascurati e allora si impossessano del loro sago e li mandano fuori di senno”[3] (sago corrisponde alla parola italiana inconscio). Del resto tale duplice credenza viene esplicitamente dichiarata nel titolo del libro.

L’incipit del romanzo rivela immediatamente, in continuità col suo primo libro, la persistenza della tematica del viaggio: “ ‘Signore e signori, fra qualche minuto…’ La voce del comandante del volo Milano-Taagh sveglia Øg Dem”[4], è così che esordisce, infatti, Pap Khouma sebbene in questo caso il viaggio di cui si parla non sia di “andata”, ma di “ritorno”, un ritorno, dopo sette anni di assenza, in un mondo a cui non sente più di appartenere. Sin dai primi momenti dall’arrivo in Africa egli “[…] rimpiange il freddo e la pioggia di Milano”[5]. Milano è la città in cui si sono stabiliti lo stesso Pap Khouma, Pascal, protagonista di Io, venditore di elefanti, nonché Øg Dem, personaggio-chiave dell’ultimo romanzo, il che suggerisce l’intenzione da parte dell’autore di mostrare come il proprio percorso di vita proceda in sintonia con quello letterario. D’altronde, nell’arco dei quindici anni trascorsi, entrambi i percorsi sono stati soggetti a variazioni interrelate e complementari: Pap Khouma, durante il proprio cammino esistentivo, è stato riconosciuto quale cittadino italiano, lavora attualmente a Milano (in libreria) ed ha anche assunto la carica di direttore di El-Ghibli, rivista on-line di letteratura della migrazione.

Il viaggio è la struttura portante, e quindi basilare, dell’intero racconto, e la migrazione si rappresenta quale caratteristica specifica dell’esistenza. Il protagonista del racconto scritto da Pap Khouma ha una meta da raggiungere: l’Africa, luogo in cui ritorna per scoprire che in realtà tutto è cambiato, lui stesso è diverso e vede il mondo che lo circonda con occhi diversi. Malgrado sia solo per un periodo limitato, Øg decide di trascorrere le proprie ferie lavorative a Taagh (nome di fantasia), città natale dalla quale ha intenzione comunque di ripartire per rientrare in Italia, dove lo attendono il proprio lavoro, le proprie abitudini (ormai italianizzate) e dunque la propria vita. In effetti “[…] a Øg manca molto Milano. […] Ha voglia semplicemente di salire e di scendere dal tram, di sentire il sassofonista che per racimolare qualche soldo, ogni venerdì mattina sotto la metropolitana di Loreto, suona What a wonderful world di Louis Armstrong”[6].

Il nome con cui il protagonista viene identificato non è unico, ma triplice, David, Dawuda oppure Øg, corrispondenti a tre tipi di interlocutori diversi. A chiedere spiegazioni a riguardo sarà proprio Mory, figlio del personaggio in questione: “Perché la mamma ti chiama David, la nonna ti chiama Dawuda e tu chiami te stesso Øg?”[7]. In verità si tratta di tre appellativi di origine differente: se il primo è francese, il secondo sembrerebbe wolof mentre il terzo è, per definizione, toubab. Tre nomi che coincidono, dunque, con tre culture differenti. Probabilmente la scelta di Pap Khouma non è casuale. Mediante l’espediente del nome, sembra quasi voler sottolineare, seppur implicitamente, una conoscenza plurilingue: italiano, francese e wolof, la cui compresenza viene peraltro più volte riscontrata nel corso della narrazione, dando così luogo ad un incontro, in questo caso, tra lingue diverse.

Vivere tra due mondi: Africa e Italia a confronto

Il ritorno in patria implica spesso una conseguenza rilevante avvertita da numerosi migranti: il mancato riconoscimento da parte della cultura d’origine. In seguito agli anni trascorsi altrove, il migrante vive di frequente in uno stato di doppia assenza, in una “Condizione esistenziale e psicologica dell’essere e del sentirsi ‘tra’”[8]. Nel caso specifico, il protagonista viene immediatamente considerato da un doganiere, suo connazionale, un toubab a partire dal nome: “Cos’è Øg? Un nome toubab? Così fate, andate a vivere a Tougal[9], cambiate il nome che papà vi ha dato per chiamarvi come i toubab”[10]. Tale affermazione denota senz’altro un atteggiamento ostile, denso di pregiudizi, dal momento che, come spiegherà in seguito lo stesso protagonista, sarà proprio il padre a volerlo chiamare Øg, in ricordo di un soldato conosciuto in guerra che portava proprio questo nome. Essere definito quale uomo bianco non è, dunque, dimostrazione di apprezzamento, ma piuttosto è indice di uno stato di regressione: “Sei peggiorato da quando vivi a Tougal”[11] oppure “Vai a lavarti, non comportarti da toubab, loro non si lavano”[12], egli è costretto a sentirsi ripetere quotidianamente frasi di questo tipo. In definitiva, essere considerato un toubab è segno di diversità, investita di un significato assolutamente negativo, diversità di cui peraltro egli stesso prende atto non riconoscendosi più in quei meccanismi, non riuscendo a comprendere come, dopo sette anni di assenza, tutto possa essere cambiato: “È come in trance. La casa gli sembra diversa”[13]. A corroborare tale condizione di smarrimento provvederà il figlio Mory, che lo esclude, infatti, dalla propria vita: “Tu sei un intruso”[14] afferma la prima volta che lo vede e, nel migliore dei casi, si rivolge al padre chiamandolo ospite; del resto non può riconoscere come genitore un uomo che non ha mai conosciuto, gli dirà dunque “Tu non sei mio papà, sei solo un ospite”[15]. In realtà un simile appellativo mal concilia con il trattamento che gli viene riservato dal figlio: “Quando vai a casa tua?”[16], insisterà Mory, sottolineando ancora una volta la condizione di non appartenenza, di estraneità in cui è costretto a vivere il protagonista.

Ciò nonostante l’ospitalità è aspetto costitutivo della società africana. A tal proposito nel corso della narrazione compaiono alcune frasi ricorrenti del tipo: “Nonno Dio è generoso”[17], caratteristica, la generosità, che va intesa come altruismo, apertura all’altro. Si ritorna dunque al tema dell’ospitalità che raggiunge livelli esagerati tanto da confondere chi non appartiene alla cultura africana come Elena, un’italiana, che, infatti, “[…] non era riuscita a capire chi effettivamente abitava nella casa dei Marone, chi faceva parte della famiglia Marone, chi era fratello o cugino Marone o semplice vicino di casa. Tanti si fermavano a mangiare, dormire, lavarsi e cambiarsi vestiti e scarpe”[18]. Ne consegue che chiunque può essere accolto in famiglia ed entrare a far parte della comunità africana, nella quale nonno Dio assume le vesti del capofamiglia, ruolo d’altra parte riscontrabile nell’appellativo nonno. L’ospitalità (teranga in lingua wolof) non è quindi un delitto, bensì un diritto e al contempo un dovere per ciascuno, giacché siamo tutti ospiti: “Siamo anche noi ospiti, anche noi accolti dal e nel mondo”[19].

Al mancato riconoscimento riscontrato nella propria cultura di provenienza, corrisponde un atteggiamento di ostilità ed incomunicabilità nel nuovo paese di accoglienza, l’Italia. Ad esser stata vittima di pregiudizi è Dior, figlia di Mar, un caro amico di Øg, che ha perso la vita in seguito ad un incidente automobilistico nei pressi di Milano. A tal proposito sarà lo stesso protagonista a parlare di alcuni spiacevoli episodi in cui è stata coinvolta Dior: “ ‘Che bella negretta! Come parli bene l’italiano. Si parla anche italiano nel suo Paese?’ Quando Dior risponde: ‘Io sono italiana’, c’è chi obietta: ‘No, bella morettina, tu non sei italiana, sei africana e non te ne devi vergognare…’ ”[20]. Il colore della pelle sembra porsi dunque come ostacolo ai fini della comprensione, della comunicazione, dell’incontro con l’altro. La corporeità non andrebbe tuttavia intesa quale limite, bensì come punto di partenza per essere nel mondo, d’altronde “Possiamo avere il mondo solo se facciamo del nostro corpo non l’ostacolo da superare, ma il veicolo nel mondo”[21], lo strumento mediante il quale ognuno può esporsi all’altro. L’esposizione, intesa quale “Disposizione caratteristica della libertà dell’esserci”[22], viene espressa dal filosofo Jean-Luc Nancy in lingua francese, mediante l’uso del termine expeausition, preferito dallo stesso Nancy al termine originario exposition: “Tale termine, impossibile da tradurre in italiano senza tradirne la portata, oltre che semantica, anche tipografica e fonetica, si basa sull’evidente equivoco fonetico che permette alla lingua francese di includere la parola peau (pelle) all’interno del termine exposition: expeausition, appunto. Il corpo […] è ciò che permette di essere al mondo, nell’esposizione continua (sintetizzata da quel confine fluido che è la pelle) che ciò comporta”[23].

Dal pregiudizio all’incontro

In relazione a quanto affermato, sembra che il preconcetto sia carattere indiscusso, condiviso dalla cultura africana e da quella europea, caratteristica peraltro ben rappresentata da due personaggi: zia Aby Mané e il professor Jean Dumaison. Nel primo caso si tratta di una sacerdotessa del n’depp[24]; Aby Mané crede dunque nell’esistenza degli spiriti (rap), ragion per cui entra in aperta competizione con il sapere scientifico, di cui si serve, invece, Jean Dumaison per curare i suoi pazienti, come Coumba: “Un’impiegata di banca diventata pazza. Era stata ricoverata nell’ospedale del professeur Jean Dumaison. Dopo mesi di cure, non guariva. I suoi parenti l’avevano portata al n’depp. Zia Aby Mané era più soddisfatta di ricevere e trattare una paziente del suo ‘rivale’ toubab”[25]. In seguito al cammino compiuto, lungo il quale vengono rilevate da entrambi i personaggi delle divergenze di natura teorica e metodologica, si arriva finalmente ad un primo contatto, reso possibile dal cedimento del professor Dumaison, d’altronde motivato dalla fine risolutiva del n’depp: “Il professor Jean si è ricreduto. […] Ha deciso di aprire i cancelli dell’ospedale a mia zia Aby, una volta all’anno, per organizzare una cerimonia di n’depp e completare la cura di certi malati di mente”[26] sono le parole di Fidel, altro personaggio e amico del protagonista. Ne consegue che tale episodio sia emblematico di un percorso evolutivo in cui, nonostante la presenza di posizioni contrastanti (sintomo di diversità), si riesce comunque a tendere gradualmente verso l’altro. Nel corso di un cammino simile si è alimentati unicamente da un sano desiderio di conoscenza, di apertura sincera all’altro, dacché la vera migrazione, intesa quale tentativo di incontro, comincia laddove finiscono i pregiudizi.

Nelle ultime pagine del testo, il migrante Øg viene arrestato dopo esser stato formalmente accusato di aggressione alla moglie di un suo amico, accusa ingiusta che lo obbligherà a far ritorno in Italia in qualità di estradato. Il romanzo si chiuderà, infatti, con l’annuncio, probabilmente di un assistente di volo, dell’imminente arrivo a destinazione: “Mesdames et messieurs, nous vous prions d’attacher votre ceinture de sécurité. Dans quelques minutes...”[27]. Ancora una volta il viaggio fa da sfondo al racconto, un viaggio il cui arrivo rimarrà in sospeso al pari del finale per il quale Pap Khouma decide di cedere il posto all’immaginazione del lettore; sarà dunque un finale incompiuto, un viaggio insoluto, del resto: “La meta raggiunta è inizio di un nuovo viaggio o la tappa di un viaggio senza fine”[28].

L’ultimo romanzo scritto da Pap Khouma permette dunque al lettore di sganciare le cinture di sicurezza ed abbandonarsi ad un viaggio scevro di diffidenza e pregiudizio, per muoversi così all’interno di un testo letterario in cui poter conoscere realtà altrimenti sconosciute, lontane, ma anche estremamente vicine e poter “Essere perturbato dall’altro come dal proprio doppio mimetico, che dice qualcosa di noi che non vorremmo dire (che non vorremmo sapere)”[29].

Vito Pecoraro

Notes de pied de page

  1. ^ Pap Khouma, Nonno Dio e gli spiriti danzanti, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005.
  2. ^ Pap Khouma e Oreste Pivetta, Io venditore di elefanti, Milano, Garzanti, 1990.
  3. ^ Ibidem, p. 138.
  4. ^ Ibidem, p. 11.
  5. ^ Ibidem, p. 23.
  6. ^ Ibidem, p. 142.
  7. ^ Ibidem, p. 107.
  8. ^ Duccio Demetrio e Graziella Favaro, Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 42.
  9. ^ Tougal è un termine wolof che vuol dire Europa.
  10. ^ Pap Khouma, Nonno Dio e gli spiriti danzanti, cit. p. 13.
  11. ^ Ibidem, p. 124.
  12. ^ Ibidem, p. 67.
  13. ^ Ibidem, p. 29.
  14. ^ Ibidem, p. 45.
  15. ^ Ibidem, p. 104.
  16. ^ Ibidem.
  17. ^ Ibidem, p. 15.
  18. ^ Ibidem, p. 140.
  19. ^ Jacques Derrida, Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo!, Napoli, Cronocopio, 1997, p. 50.
  20. ^ Pap Khouma, Nonno Dio e gli spiriti danzanti, cit., p. 158.
  21. ^ Umberto Galimberti, “Il Corpo abita il mondo”, in Id., Il corpo, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 133.
  22. ^ Fulvio F. Palese, “Il liberarsi delle voci. Inquietudine ed esposizione nel pensiero di Jean-Luc Nancy”, in Mario Signore e Giovanni Scarafile (a cura di), Libertà e comunità, Padova, Messaggero di Sant’Antonio, 2005, p. 146.
  23. ^ Ibidem, p. 148.
  24. ^ “Rito propiziatorio durante il quale vengono invocati gli spiriti mentre i posseduti entrano in trance”. Pap Khouma, Nonno Dio e gli spiriti danzanti, cit., p. 72.
  25. ^ Ibidem, p. 121.
  26. ^ Ibidem, p. 151.
  27. ^ Ibidem, p. 222.
  28. ^ Maurizio Aliotta, “L’io estraneo. La ‘conversazione’ di Elio Vittorini sulla malattia”, in Massimo Naro (a cura di), Sub specie typographica. Domande radicali negli scrittori siciliani del Novecento, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2003, p. 108.
  29. ^ Silvana Brutti e Ugo Fabietti, “Introduzione”, in Michel de Certeau, La scrittura dell’altro, Milano, Raffaello Cortina, 2005, p. XXII.

Référence électronique

Vito PECORARO, « PAP KHOUMA: EVOLUZIONE ESISTENTIVA E LETTERIA », Astrolabe - ISSN 2102-538X [En ligne], Mai / Juin 2008, mis en ligne le 01/08/2018, URL : https://www.crlv.org/articles/pap-khouma-evoluzione-esistentiva-e-letteria